lunedì 13 febbraio 2012

Cause, soluzioni, prospettive. Uno sguardo sulla crisi

Manfredi Pomar è un giovane giornalista indipendente nato in Sicilia ed emigrato a Berlino. E’ stato tra i primi a suggerire che bisognasse partire dal private equity per aiutare le PMI a uscire dalla crisi (come poi hanno fatto anche da altri) e ha previsto con largo anticipo quello che è diventato lo scenario europeo che oggi ci troviamo sotto gli occhi. Più di recente ha assicurato che il default greco, atteso domenica scorsa, sarebbe stato rinviato a data da destinarsi. Così è stato.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lui, il risultato è questa lunga e interessante intervista. Una lettura da non perdere per capire meglio la crisi.

Cosa ha scatenato davvero la crisi dell’eurozona?
L’Unione Europea è un esperimento politico ed economico senza precedenti e, in quanto tale, presenta tutta una serie di incongruenze e imperfezioni. Irrisolte, hanno portato alla crisi attuale, che potrebbe quindi essere definita una crisi congenita, latente. Volendo però rintracciare, concretamente, una causa scatenante direi che l’eurocrisi è una continuazione della crisi economica del 2008.

Due crisi contigue? Come la prima ha generato la seconda?
Non direi che la prima ha generato la seconda ma che la prima ha posto le condizioni affinché la seconda si manifestasse. Mi spiego meglio. A partire dal 2008, per far fronte alla crisi, molte economie hanno dovuto ricorrere a un aumento – significativo e non preventivato - della spesa pubblica, a sostegno del sistema produttivo (banche e imprese). Questo ha contribuito a mettere in luce alcune delle contraddizioni all’interno dell’UE, che sono di tipo economico, fiscale e commerciale. In sostanza si è cominciato a temere per la sostenibilità di Paesi come Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, economicamente fragili e perciò maggiormente esposti alla crisi. Inoltre, dal momento che non tutti i membri dell’UE, per riprendersi, potevano contare su un export come quello tedesco o olandese, l’Europa si è come divisa in due e ha cominciato ad andare a due velocità.

Stai dicendo che la colpa è di quei Paesi (come la Germania) che corrono troppo?
Non rientro tra quelli che vedono nella Germania l’origine di tutti i mali e non lo dico perché vivo a Berlino (in realtà non sono particolarmente germanofilo). Chi critica la Germania vorrebbe vederla esportare di meno per limitare, appunto, quello squilibrio commerciale che peraltro preesisteva alla crisi, ma non capisco concretamente come il governo tedesco dovrebbe far passare un messaggio come questo e, soprattutto, non vedo come potrebbe mai considerare una simile mossa. La Germania è un Paese che procede incerto alla ricerca di un'identità, di un chiaro ruolo internazionale (ama fare la voce grossa ma in realtà è un Paese provinciale che vuole mantenere una posizione privilegiata, ma riparata) e il principale punto di forza dell'economia tedesca risiede proprio nelle esportazioni. In un contesto globale e altamente competitivo come quello in cui viviamo è ridicolo pensare che la Germania possa dirsi disposta sacrificare parte di quella forza a vantaggio di Paesi che considera suoi competitor (poco importa se membri della stessa "famiglia europea", sapete come vanno certe cose: parenti serpenti). Per questo penso sia più ragionevole attendersi qualche sforzo in più da parte di chi è rimasto indietro, ovviamente tenendo conto delle differenze del caso.

Quindi le responsabilità sono solo dei Paesi che vanno a rilento, i PIIGS?
Non mi piace cercare un capro espiatorio. Le responsabilità non sono imputabili a un solo soggetto, sono diverse e ogni Paese fa storia a sé: persino i Paesi accomunati sotto l'acronimo di PIIGS in realtà differiscono parecchio tra loro sul piano macroeconomico. Sicuramente non è esente da colpe l’Italia, che si è trascinata troppo a lungo un imbarazzante debito pubblico (leggete: clientelismo e sprechi vari), per oltre un decennio ha dimenticato la crescita e, pur vantandosi spesso della diffusione del Made in Italy nel mondo, ha totalmente perso di vista l’export tedesco. Imbarazzante anche la Grecia, che ha truccato i conti pubblici e, al di fuori del mega-apparato statale a gestione familiare, non ha mai avuto un’economia propriamente detta. Tuttavia non ha senso neanche rimproverare un Paese come la Grecia perché non spinge quanto la Germania. La ragione è semplice: la Grecia NON è la Germania e, olive a parte, l'export greco non potrebbe competere con quello dei grandi esportatori europei neanche se la Grecia fosse indipendente e adottasse una svalutatissima dracma - stupido illudersi del contrario (qui sbagliano tedeschi, francesi e molti altri con loro). Il punto, per come la vedo io, è un altro: che diavolo ci faceva un’economia inesistente come la Grecia all’interno dell’unione monetaria? Per questo dico che l’origine dei problemi è da cercarsi a monte.

Molti però preferiscono puntare il dito contro la speculazione…
E allora facciamo subito chiarezza: sono gli Stati a emettere titoli di Stato per finanziare il proprio debito, pertanto l’investitore che li sottoscrive non è uno sporco ricattatore che tiene in scacco i governi, come dicono certi, è la figura che, semmai, con il suo investimento, contribuisce a mantenere lo Stato (e i suoi servizi). Chiaramente lo fa in vista di un ritorno economico – non c’è nulla di male o di sbagliato in questo – e nulla può obbligarlo a continuare a investire nei titoli di Stato di un Paese che comincia a puzzare di cadavere o sui cui incombe il rischio di diventarlo presto. Ecco perché è compito dei governi apparire credibili agli investitori, assicurarsi che i conti siano in regola, lavorare per la crescita. In Europa però qualcuno pare essersene dimenticato per lungo tempo e, scoppiata la crisi, molti investitori hanno cominciato a dubitare delle proprie scelte d’investimento, a rivederle: non sottoscrivendo più i titoli di Stato dei Paesi a rischio e dirottando i capitali altrove, il più lontano possibile dall’eurozona. In breve: se i titoli di Stato di un Paese vengono percepiti come titoli tossici è normale che gli investitori vogliano sbarazzarsene o che siano disposti a comprarli solo a tassi più alti (a fronte di un maggiore rischio). Nessun complotto internazionale, solo un comprensibile timore diffuso.

Eppure in molti credono che sia tutto un piano degli Stati Uniti per abbattere l’Europa…
Il Vecchio Continente è uno dei principali partner commerciali degli Stati Uniti, che interesse avrebbero a demolirlo? Inoltre non bisogna dimenticare che l’eurocrisi ha avuto un forte impatto anche sui mercati valutari: indebolendosi l’euro, si è rafforzato il dollaro. Ora, noi sappiamo che anche gli Usa hanno un serio problema di indebitamento, per tenerlo sotto controllo il governo statunitense deve puntare sull’export ma le esportazioni non sono favorite da una valuta forte. Ergo, gli Stati Uniti sono i primi a sperare nella ripresa europea perché anche da ciò dipendono le sorti dell'export statunitense. Altro che piano per abbattere l'Europa!

Ma perché allora le principali agenzie di rating (che sono tutte statunitensi) si divertono a prendere l'Europa a picconate?
Le agenzie di rating non predicono nulla né si lanciano in anticipazioni fantasiose. Nel caso di rating non sollecitati non fanno altro che rilasciare commenti sulla base di analisi fatte su dati e informazioni di pubblico dominio. Non inventano: analizzano, traggono conclusioni e motivano. Poi sta all’investitore decidere se reputare attendibili o meno quelle opinioni. Non hanno credibilità? Bene, ma se buona parte degli investitori continua a preferirle ad altre agenzie di rating un motivo ci sarà. Influenzano il mercato? Di certo non più delle affermazioni infelici di qualche Primo Ministro o dei rapporti dell’OCSE (o di qualsiasi altra istituzione internazionale) quando ricordano al mondo che l’Europa è seduta su una montagna di debiti o che questo o quel Paese è in recessione. E allora che facciamo? Mettiamo al bando chiunque rilasci dichiarazioni pubbliche o rediga un report sullo stato di salute delle economie europee?

Veniamo alle possibili soluzioni della crisi. Leggendo il tuo sito si capisce che le politiche di salvataggio non ti convincono. Ci spieghi perché?
Ho sempre detto che si sarebbero rivelate infruttuose e i fatti mi stanno dando ragione. Un anno dopo la prima raccolta per il salvataggio della Grecia è stato necessario versare nuovi fondi per salvare nuovamente il Paese. E’ un problema destinato a riproporsi a intervalli regolari. E’ accaduto con la Grecia, si ripeterà presto con il Portogallo. Di fatto l’eurosalvataggio della periferia sta solo indebolendo la stabilità delle economie centrali e senza sortire grandi effetti. L’Unione Europea sta cercando di rianimare un morto che invece si sarebbe dovuto scrollare di dosso già da tempo, dopo aver ridotto l’esposizione delle principali banche europee.

Quindi pensi, come gli indignados, che alla Grecia serva il default?
Gli indignados parlando del default greco come se si trattasse di qualcosa di idilliaco, una strada senza complicazioni per la felicità: “fratelli greci” dicono “ripudiate il debito, tanto che sarà mai?” A supporto della loro teoria portano esempi come quello argentino e quello islandese - sbagliando in entrambi i casi, anche se per ragioni diverse (magari un’altra volta approfondiamo l’argomento) – ma la verità è che il default sarebbe una rovina per la Grecia. Perché augurarsi il default allora? Per salvare il salvabile, visto che la Grecia comunque è già perduta.

Non trovi immorale sacrificare la Grecia sapendo che per il Paese sarebbe una rovina?
La Grecia resta un Paese senza futuro in ogni caso, con o senza default, questa è l’amara verità, tanto vale lasciare al popolo greco la possibilità di decidere autonomamente del proprio destino. Inoltre la Grecia non è un Paese esente da colpe scosso improvvisamente da una catastrofe naturale. Aveva senso essere solidali con Haiti dopo il terremoto, non con la Grecia, che nell'UE non avrebbe neanche dovuto entrarci. E non si dica che il popolo greco sconta colpe che non ha, perché ha scelto i suoi rappresentanti ed è stato complice delle loro scelte per anni, perché facevano comodo. Personalmente trovo immorale socializzare il debito di un intero Paese in nome di una presunta solidarietà che con la solidarietà vera non ha nulla a che vedere. Se imposta da un governo, non è solidarietà: è una tassa. Personalmente la vedo come Richard Sulík: “è perverso parlare di solidarietà in questo caso”.

Ultima domanda: come pensi che andrà a finire?
L’illusione dell’eurosalvataggio durarerà ancora un po’. I leader europei si sono incaponiti così tanto che ora è difficile, per loro, fare marcia indietro e la perdita della Grecia sarebbe un enorme fallimento politico. Inoltre ha bisogno di tempo anche la Grecia, che deve anzitutto sforzarsi di raggiungere un avanzo primario in vista del default e per lasciare l'unione monetaria, qualora decidesse di intraprendere questa strada.  Nel caso, si cercherà di evitare la corsa agli sportelli, quindi non aspettatevi qualcosa di troppo annunciato.
Resta da sciogliere anche l’enigma della Banca Centrale. L’impressione è che se non fosse espressamente vietato dai trattati la BCE avrebbe già provveduto alla monetizzazione del debito stampando nuova moneta, sul modello della Federal Reserve. Ma la BCE non è la Fed (non ancora, almeno) e all’Unione Europea, allo stato attuale, non resta altro che il leverage grossolano del fondo EFSF. Almeno fino alla modifica dei trattati. Lo devo ammettere, lo scenario è desolante. Comunque vada NON sarà un successo.

Ringraziamo Manfredi per la disponibilità e rimandiamo al suo sito e al suo account Twitter per ulteriori approfondimenti: www.manfredipomar.com - @manfredipomar

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